Visualizzazioni totali

sabato 4 febbraio 2012

Come la città di Catania festeggia la santa patrona Agata tra fede, arte e singolari tradizioni popolari


                     Tutti giù dal letto per la Santuzza

                                                                                 di SANDRO BARBAGALLO



Dal 3 al 5 di febbraio di ogni anno la città di Catania si veste a festa per ricordare la sua "Santuzza", ovvero sant'Agata, patrona della città. Durante questi tre giorni la città è invasa da gente proveniente da ogni parte dell'isola e anche dall'estero.
Chi vi si trova per la prima volta resta colpito dal singolare abbigliamento dei devoti, che indossano un berretto nero e un "sacco" bianco, a simboleggiare una camicia da notte. Tutto ciò serve a ricordare l'alba del 15 agosto del 1126, in cui le campane della città suonarono a distesa e la popolazione balzò fuori dal letto uscendo per le strade a piedi nudi. Erano finalmente tornate da Costantinopoli le sacre spoglie di sant'Agata, rubate dal generale bizantino Maniace nel 1040. A riportare in patria il "lodevole furto" erano stati due militi catanesi, Goselmo e Gisliberto.
Sant'Agata rappresenta per i catanesi un simbolo di fede popolare e venerazione che nel tempo si è affermato sempre di più. Del resto Agata è nata a Catania l'8 settembre del 238 e la sua casa, in via Museo Biscari, è oggi meta di pellegrinaggio. La sua storia è legata alle lusinghe del proconsole romano Quinziano, che non riuscendo a sedurla la sottopose ai più atroci martiri, culminati nel taglio delle mammelle e successivamente nel rogo mentre era ancora viva.
La cieca devozione dei catanesi verso sant'Agata nasce da un miracolo avvenuto un anno dopo la sua morte. Raccontano le cronache che una spaventosa eruzione dell'Etna avanzava verso la città. Questo torrente di lava venne bloccato dal velo che copriva le spoglie della martire.
La processione di sant'Agata procede tra fitte ali di folla, spingendosi fino ai quartieri più antichi e ai borghi più pittoreschi, come quello della Civita, la zona che si affaccia verso il mare. Il lungo corteo si ferma spesso per poi riprocedere ancora per pochi metri, mentre la gente sventola candidi fazzoletti al grido di "Cittadini, viva sant'Agata". La celebrazione popolare si protrae sino a tarda notte nella giornata conclusiva, tra urla di entusiasmo e fuochi d'artificio. La folla incontenibile s'inginocchia, prega e piange, tanto è infervorata dal passaggio del busto gemmato dell'amata patrona.
Busto che appare in tutto il suo splendore, carico com'è di monili, spille, collane, anelli, tutti splendidi ex voto. Tra questi, meritano di essere ricordati la corona in oro e gemme che la tradizione vuole sia stata donata ad Agata da Riccardo Cuor di Leone al ritorno dalla Terrasanta; un meraviglioso anello di Papa Gregorio X; la decorazione del Toson d'oro appartenuta al viceré di Sicilia, Fernando la Cunea; la croce pettorale di smeraldi donata dal vescovo Salvatore Ventimiglia; la Legion d'Onore di Vincenzo Bellini, sepolto nella stessa cattedrale.
Il busto reliquiario di sant'Agata non è importante solo come testimonianza di devozione, ma anche come straordinario manufatto artistico. Infatti esso rappresenta senza dubbio un esempio rarissimo della squisita produzione orafa fiorita nel Trecento ad Avignone presso la corte pontificia. Produzione purtroppo quasi del tutto dispersa.
Questo busto, in argento massiccio e smalti, è stato realizzato nel 1376 ed è un capolavoro di Giovanni di Bartolo, celebre orafo senese che aveva eseguito anche i due busti reliquiari dei santi Pietro e Paolo per il ciborio di San Giovanni in Laterano. Busti oggi sostituiti da copie, perché gli originali furono sciolti dalle truppe napoleoniche.
Giovanni di Bartolo arrivò ad Avignone, come tanti altri artisti toscani, nel 1365, ricevendo fin da subito commissioni da Papa Urbano V. È proprio presso la corte pontificia della cittadina francese che il vescovo di Catania Marziale, originario di Limoges, si era recato nel 1373 come legato di Federico IV. Marziale ordinò l'esecuzione del busto di sant'Agata all'orafo senese, ma la morte lo colse nella stessa Avignone nel 1375. Fu quindi il suo successore Elia, anch'egli originario di Limoges, a far completare l'esecuzione e a trasferire il reliquiario a Catania.
La santa è rappresentata frontalmente, sorretta da due angeli. Il volto e le mani sono realizzati con smalti policromi che riproducono l'incarnato roseo della giovane martire, creando uno straordinario effetto realistico che contrasta con il ricco apparato ornamentale che la ricopre. Con la destra la santa tiene una croce astile e con la sinistra una tavoletta su cui è scritto in rilievo Mentem sanctam spontaneam honorem Deo et patriae liberationem. L'acronimo di questa frase è diventato una sorta di codice identificativo di sant'Agata che si ritrova in tutti i luoghi della cittadina etnea legati al suo culto.
Il culto di sant'Agata ha una serie singolare di consuetudini. Durante la processione, per esempio, può succedere che il sole faccia risplendere in modo insolito il suo volto e questo è considerato un buon auspicio per l'anno che segue. In effetti poiché si perpetua l'usanza di tenere occultata l'effige della "Santuzza" per tutto l'anno fino all'alba del 4 febbraio, quell'improvviso splendore riveste un significato ancora più significativo. Il busto reliquiario, che conserva all'interno della testa il teschio della santa, è infatti gelosamente custodito in un sacello posto sotto l'abside della Cattedrale. Questo sacello è occultato da una sequenza di cancelli e porte, le cui chiavi sono affidate a persone diverse, dal vescovo al sindaco della città. Il sacello è quindi accessibile solo con la partecipazione di ogni singolo affidatario delle chiavi. Il suo interno è interamente affrescato con scene di natura biblico-agiografica. Tra le varie immagini troviamo raffigurati anche Goselmo e Gisliberto, insieme alla raffigurazione del trafugamento delle reliquie da un sarcofago a Costantinopoli. Questa scena è affiancata dalla concitazione degli abitanti di Costantinopoli, stupiti per la sparizione di quelle reliquie. Concitazione che oggi ritroviamo dopo tanti secoli nell'euforia dei catanesi che festeggiano per l'ennesima volta la riapparizione di quelle amate reliquie.


(©L'Osservatore Romano 5 febbraio 2012)

Nessun commento:

Posta un commento

Iscriviti a Post Tutti i commenti Modello Watermark. Powered by Blogger.