Ancora campione
di Adam Smulevich
Campione in corsa, campione fuori dal contorno agonistico. Il pubblico riconoscimento dello Yad Vashem rappresenta l'attesissimo suggello a una storia memorabile, quella di Gino Bartali dichiarato Giusto tra le Nazioni.Forse Ginettaccio sarebbe addirittura scontento di questo tributo in virtù del proverbiale "Il bene si fa, ma non si dice" che tanto l'ha reso celebre in Italia e nel mondo. Di Bartali era già noto l'impegno come staffetta clandestina ma a mancare, per lungo tempo, è stata la dichiarazione diretta di un sopravvissuto o di un suo discendente. Nel 2005 il ciclista fu insignito della medaglia d'oro al valore civile dal presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi "per aver salvato la vita a circa 800 ebrei". Stante questo riconoscimento, restavano però degli interrogativi irrisolti. Chi erano questi ebrei? Quali i loro nomi, i loro volti, le loro storie? Materiale di cui lo Yad Vashem, per dar seguito alla pratica, aveva assoluto bisogno. I motivi di questa lacuna sono noti: oltre alla ritrosia di Ginettaccio, corredata da un'aneddotica leggendaria, la mancanza di un contatto diretto tra il ciclista e i tanti - uomini, donne e bambini - che beneficiarono del suo altruismo. Il corridore agiva infatti a stretto raccordo con una serie limitata di interlocutori: uomini della Delegazione per l'assistenza degli emigranti ebrei, esponenti del clero toscano, falsari che gli procuravano nuove identità per ebrei e perseguitati politici in fuga dall'Italia. L'amore, per Bartali, è stata la vita e la dignità dell'uomo prima di ogni altra cosa. È quanto emerge con le numerose testimonianze raccolte in seguito all'appello di Yad Vashem. Una su tutte, quella di Giorgio Goldenberg, descrive lo straordinario itinerario tracciato dal campione negli anni più bui. È la storia di un giovane ebreo fiumano, nascosto insieme alla sua famiglia in una casa in via del Bandino a Firenze. Giorgio, la sorella Tea, i genitori: quattro vite umane strappate alla barbarie della Shoah. L'iniziativa è di Gino e di suo cugino Armandino Sizzi, un duo affiatato ripetutamente esposto a pericoli ma incrollabile nella sua determinazione. Nessuno, oltre a loro, sapeva. Neanche Adriana, la compagna di una vita. Neanche una volta cessate le ostilità, quando tutto sarebbe stato più facile.
(©L'Osservatore Romano 25 settembre 2013
Forse
Ginettaccio sarebbe addirittura scontento di questo tributo in virtù
del proverbiale "Il bene si fa, ma non si dice" che tanto l'ha reso
celebre in Italia e nel mondo.
Di Bartali era già noto l'impegno come staffetta clandestina ma a
mancare, per lungo tempo, è stata la dichiarazione diretta di un
sopravvissuto o di un suo discendente. Nel 2005 il ciclista fu insignito
della medaglia d'oro al valore civile dal presidente della Repubblica
Italiana Carlo Azeglio Ciampi "per aver salvato la vita a circa 800
ebrei". Stante questo riconoscimento, restavano però degli interrogativi
irrisolti. Chi erano questi ebrei? Quali i loro nomi, i loro volti, le
loro storie? Materiale di cui lo Yad Vashem, per dar seguito alla
pratica, aveva assoluto bisogno.
I motivi di questa lacuna sono noti: oltre alla ritrosia di Ginettaccio,
corredata da un'aneddotica leggendaria, la mancanza di un contatto
diretto tra il ciclista e i tanti - uomini, donne e bambini - che
beneficiarono del suo altruismo. Il corridore agiva infatti a stretto
raccordo con una serie limitata di interlocutori: uomini della
Delegazione per l'assistenza degli emigranti ebrei, esponenti del clero
toscano, falsari che gli procuravano nuove identità per ebrei e
perseguitati politici in fuga dall'Italia.
L'amore, per Bartali, è stata la vita e la dignità dell'uomo prima di
ogni altra cosa. È quanto emerge con le numerose testimonianze raccolte
in seguito all'appello di Yad Vashem. Una su tutte, quella di Giorgio
Goldenberg, descrive lo straordinario itinerario tracciato dal campione
negli anni più bui. È la storia di un giovane ebreo fiumano, nascosto
insieme alla sua famiglia in una casa in via del Bandino a Firenze.
Giorgio, la sorella Tea, i genitori: quattro vite umane strappate alla
barbarie della Shoah. L'iniziativa è di Gino e di suo cugino Armandino
Sizzi, un duo affiatato ripetutamente esposto a pericoli ma incrollabile
nella sua determinazione. Nessuno, oltre a loro, sapeva. Neanche
Adriana, la compagna di una vita. Neanche una volta cessate le ostilità,
quando tutto sarebbe stato più facile.
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