Uno hobbit ancora troppo piccolo
di Gaetano ValliniA dieci anni dal trionfo de Il ritorno del re, ultimo capitolo della trilogia de Il signore degli anelli Peter Jackson torna nella "Terra di Mezzo" fantasticata da Tolkien per raccontarci cosa accadde prima. Ma Lo Hobbit. Un viaggio inaspettato, attesissimo primo episodio di un'altra trilogia, non regge il confronto. Nonostante un 3d di grande impatto visivo e la tecnologia a 48 fotogrammi al secondo, contro i 24 utilizzati normalmente, che regala una nitidezza senza precedenti sul grande schermo, il film non convince. La prima parte lenta e troppo lunga viene riscattata parzialmente da un bel prologo e da un seguito che richiamano solo a tratti la magniloquenza mitologica che aveva fatto la fortuna dell'opera precedente.
Forse proprio la ricerca della perfezione visiva, con immagini pulite e senza sbavature, fa sì che il realismo da pregio si trasformi in limite, perché toglie quell'alone di epicità alle scene. Epicità peraltro già ridimensionata dal ricorso a un registro narrativo fiabesco e fin troppo incline alla commedia. E gli stessi nani finiscono per divenire delle caricature poco credibili nei panni di intrepidi guerrieri pronti a riconquistare il loro regno. Perché a questo sono chiamati. Ed è a questo che, all'inizio del film, lo stregone Gandalf il Grigio chiama lo hobbit, Bilbo Baggins, la cui presenza servirà da raccordo per comprendere i fatti che sarebbero avvenuti nella Terra di Mezzo sessant'anni dopo.
Siccome il libro di Tolkien Lo hobbit, frutto rielaborato della favola serale che lo scrittore raccontava ai figli, non si configura come un antefatto di quella storia, Jackson compie un'operazione più complessa. Prende tutto quanto scritto da Tolkien e lo integra, con molta libertà rispetto al romanzo originario e con rimandi alla precedente trilogia. Ma stavolta la riproposizione di collaudate scenografie, musiche e fotografia che avevano decretato il precedente successo non dà come risultato la stessa magica alchimia. Manca il pathos. Soprattutto resta un senso di incompiutezza del racconto.
(©L'Osservatore Romano 14 dicembre 2012)
Nessun commento:
Posta un commento